La tierra de la sal, mi tierra
que se desploma – sal y niebla –
del altiplano a un valle de arcilla;
tan pobre que basta un vendedor
de ropa usada – ríen colgados de las cuerdas
los colores de los trajes de mujer –
para celebrar una fiesta, o la tienda blanca
del vendedor de turrón.
La sal en la llaga, estas piedras
blancas que se amontonan
junto a las vías – el viajero
alza los ojos del periódico, pregunta
el nombre del lugar – y luego en largos convoyes
y bajan hasta las barcas de Porto Empedocle;
la sal de la tierra – “y si la sal
se vuelve sosa,
¿con qué le daréis sabor?”
(¿Y si se vuelve muerte,
llanto de mujeres de negro en las calles,
hambre en los ojos de los niños?)
Leonardo Sciascia, 1921-1989, Sicilia, Italia
Versión © Gerardo Gambolini
(consulente linguistico: J. Aulicino)
imagen: s/d
1
Il paese del sale, il mio paese
che frana - sale e nebbia -
dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi - ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili -
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari - il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese - e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra - “e se il sale
diventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).
che frana - sale e nebbia -
dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi - ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili -
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari - il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese - e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra - “e se il sale
diventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).
Este es el frío que los viejos
dicen que se mete en las astas del buey;
que desangra el bronce de las campanas,
las hace sonar opacas como cántaros de arcilla.
Hay nieve en los montes de Cammarata;
en un tiempo, había canciones festivas
para saludar a esa nieve lejana.
Los chicos pobres se juntan silenciosos
en las gradas de la escuela, esperan
que se abra la puerta: amontonados y ateridos
como gorriones, mordisquean el pan negro,
muerden apenas la sardina irisada
de sal y escamas. Otros chicos
se mantienen algo aparte, encerrados
en el capullo caliente de los echarpes.
Leonardo Sciascia, 1921-1989, Sicilia, Italia
Versión © Gerardo Gambolini
(consulente linguistico: J. Aulicino)
2
Questo è il freddo che i vecchi
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame. Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame. Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.
Es sosiego para mí el recuerdo de tus días grises,
de tus viejas casas que asfixian las calles,
de la plaza grande llena de hombres de negro silenciosos.
Estre estos hombres aprendí leyendas dolorosas
de tierra y de azufre, oscuras historias arrancadas
por la trágica luz blanca del acetileno.
Y el acetileno de la luna en las noches calmas,
en la plaza, las iglesias enlutadas de sombra;
y sordo el paso de los mineros de azufre, como si las calles
cubrieran tumbas huecas, profundos lugares de muerte.
Al alba, el cielo como un frío témpano de plata
todo vibrante con las primeras voces; las casas congeladas:
en todas partes la pena de una fiesta terminada.
Y los ocasos entre los sauces, el largo silbido de los trenes;
el día que se marchita como un geranio rojo
en las mujeres asomadas en la proa aerea de la avenida.
Una nave de melancolía abría para mí velas de oro,
piedad y amor hallaban antiguas palabras.
Leonardo Sciascia, 1921-1989, Sicilia, Italia
Versión © Gerardo Gambolini
(consulente linguistico: J. Aulicino)
Ad un paese lasciato
Mi è riposo il ricordo dei tuoi giorni grigi,
delle tue vecchie case che strozzano strade,
della piazza grande piena di silenziosi uomini neri.
Tra questi uomini ho appreso grevi leggende
di terra e di zolfo, oscure storie squarciate
dalla tragica luce bianca dell’acetilene.
E’ l’acetilene della luna nelle notti calme,
nella piazza le chiese ingramagliate d’ombra;
e cupo il passo degli zolfatari, come se le strade
coprissero cavi sepolcri, profondi luoghi di morte.
Nell’alba, il cielo come un freddo timpano d’argento
a lungo vibrante delle prime voci; le case assiderate;
in ogni luogo la pena di una festa disfatta.
E i tramonti tra i salici, il fischio lungo dei treni;
il giorno che appassiva come un rosso geranio
nelle donne affacciate alla prora aerea del viale.
Una nave di malinconia apriva per me vele d’oro,
pietà ed amore trovavano antiche parole.