domingo, 17 de marzo de 2013
Bartolo Cattafi
lunes, 11 de febrero de 2013
Salvatore Quasimodo
miércoles, 30 de enero de 2013
Leonardo Sciascia
miércoles, 15 de agosto de 2012
Leonardo Sciascia
incrostato di funebre oro, col passo
lento dei cavalli: e spesso
per loro suona la banda.
Al passaggio, le donne si precipitano
a chiudere le finestre di casa,
le botteghe si chiudono: appena uno spiraglio
per guardare al dolore dei parenti,
al numero di amici che è dietro,
alla classe del carro, alle corone.
Così vanno via i morti, al mio paese;
finestre e porte chiuse, ad implorarli
di passar oltre, di dimenticare
le donne affaccendate nelle case,
il bottegaio che pesa e ruba,
il bambino che gioca e odia,
gli occhi vivi che brulicano
dietro l’inganno delle porte chiuse.
In lei resta della nostra vita
un calco atroce: l’ultimo nostro volto
nell’ultima notte del mondo.
lunes, 9 de enero de 2012
Salvatore Quasimodo
Hombre de mi tiempo
con las alas malignas, los meridianos de muerte,
te he visto — dentro del carro de fuego, en las horcas,
en las ruedas de tortura. Te he visto: eras tú,
con tu ciencia exacta incitada al exterminio,
sin amor, sin Cristo. Has vuelto a matar,
como siempre, como mataron tus padres, como mataron
los animales que te vieron por primera vez.
Y esta sangre huele como en el día
en que el hermano le dijo al otro hermano:
llega hasta ti, entra en tu jornada.
Olvidad, oh hijos, las nubes de sangre
surgidas de la tierra, olvidad a los padres:
sus tumbas se hunden en las cenizas,
las aves negras, el viento, cubren sus corazones.
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
martes, 3 de enero de 2012
Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedento e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiette
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Cosí tra questa
Inmensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
domingo, 20 de noviembre de 2011
Leonardo Sciascia
Sicilia, su corazón
Como Chagall, quisiera capturar esta tierra
dentro del ojo inmóvil del buey.
No un lento carrusel de imágenes,
un halo de nostalgia: tan sólo
estas nubes coaguladas,
los cuervos que descienden lentamente,
y los rastrojos quemados, los árboles escasos
que se abren como filigranas.
Un espejo miope de pena, un destino opresivo
de lluvia: tan lejos está el verano
que extendió aquí su caliente desnudez
escamosa de luces — y tan diferente
es el anuncio del otoño,
sin las voces de la vendimia.
El silencio es voraz en las cosas.
Se quiebra, si la flauta de caña
se anima a sonar: y se esparce un profundo miedo.
Los antiguos no reían bajo esta luz,
estrangulada por la nubes, que gime
en los prados miserables, en las costas escarpadas,
en el ojo cenagoso de las fuentes;
las ninfas perseguidas
no se escondían aquí de los dioses; los árboles
no nutrían a los héroes con frutos.
Aquí Sicilia escucha su vida.
dentro l’immobile occhio del bue.
Non un lento carosello di immagini,
una raggiera di nostalgie: soltanto
queste nuvole accagliate,
i corvi che discendono lenti;
e le stoppie bruciate, i radi alberi
che s’incidono come filigrane.
Un miope specchio di pena, un greve destino
di piogge: tanto lontana è l’estate
che qui distese la sua calda nudità
squamosa di luce - e tanto diverso
l’annuncio dell’autunno,
senza le voci della vendemmia.
Il silenzio è vorace sulle cose.
S’incrina, se il flauto di canna
tenta vena di suono: e una fonda paura dirama.
Gli antichi a questa luce non risero,
strozzata dalle nuvole, che geme
sui prati stenti, sui greti aspri,
nell’occhio melmoso delle fonti;
le ninfe inseguite
qui non si nascosero agli dèi; gli alberi
non nutrirono frutti agli eroi.
Qui la Sicilia ascolta la sua vita.
miércoles, 24 de agosto de 2011
Leonardo Sciascia
che frana - sale e nebbia -
dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi - ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili -
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari - il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese - e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra - “e se il sale
diventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame. Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.
Leonardo Sciascia, 1921-1989, Sicilia, Italia
Ad un paese lasciato
Mi è riposo il ricordo dei tuoi giorni grigi,
delle tue vecchie case che strozzano strade,
della piazza grande piena di silenziosi uomini neri.
Tra questi uomini ho appreso grevi leggende
di terra e di zolfo, oscure storie squarciate
dalla tragica luce bianca dell’acetilene.
E’ l’acetilene della luna nelle notti calme,
nella piazza le chiese ingramagliate d’ombra;
e cupo il passo degli zolfatari, come se le strade
coprissero cavi sepolcri, profondi luoghi di morte.
Nell’alba, il cielo come un freddo timpano d’argento
a lungo vibrante delle prime voci; le case assiderate;
in ogni luogo la pena di una festa disfatta.
E i tramonti tra i salici, il fischio lungo dei treni;
il giorno che appassiva come un rosso geranio
nelle donne affacciate alla prora aerea del viale.
Una nave di malinconia apriva per me vele d’oro,
pietà ed amore trovavano antiche parole.
miércoles, 15 de junio de 2011
Giuseppe Ungaretti
Sereno
Después de tanta
niebla
una
a una
se descubren
las estrellas
el color del cielo
Me reconozco
imagen
pasajera
Presa en un viaje
inmortal
Bosque de Courton, julio de 1918
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de L’allegria
Traducción de Rodolfo Alonso
imagen: trinchera italiana de la Primera Guerra
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle.
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa in un giro
immortale
Bosco di Courton luglio 1918
se alza
sobre los escombros
el límpido
estupor
de la inmensidad
Y el hombre
curvado
sobre el agua
sorprendida
por el sol
se descubre
una sombra
Acunada y
lentamente
rota
Vallone, 19 agosto de 1917
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de L’allegria
Traducción de Rodolfo Alonso
D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell’immensitá
E l’uomo
curvato
sull’acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un’ombra
Cullata e
piano
franta
Y cuando el corazón, de un último latido,
haya hecho caer el muro de sombra,
para conducirme, madre, hasta el Señor,
me darás la mano, como antes.
De rodillas, segura,
serás una estatua delante del Eterno,
como ya te veía
cuando estabas aún en vida.
Alzarás temblorosa los brazos viejos,
como cuando expiraste
diciendo: Dios mío, aquí estoy.
Y sólo cuando me haya perdonado
te vendrá deseo de mirarme.
Recordarás haberme esperado tanto
y en tus ojos habrá un fugaz suspiro.
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de Sentimento del tempo
Versión © Gerardo Gambolini
E quando il cuore d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, fino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: "Mio Dio, eccomi".
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
lunes, 13 de diciembre de 2010
Eugenio Montale
Fin de año, 1968
He contemplado desde la luna, o casi,
el modesto planeta que contiene
filosofía, teología, política,
pornografía, literatura, ciencias
exactas u ocultas. Adentro está también el hombre
y yo entre ellos. Y todo es muy extraño.
Dentro de pocas horas será noche y el año
terminará entre explosiones de espumantes
y petardos. Quizás de bombas o algo peor,
mas no aquí, donde estoy. Si uno muere
a nadie le interesa con tal que sea
desconocido y lejano.
Eugenio Montale, Génova, 1896 - Milán, 1981
traducción de Horacio Armani
imagen: Eugenio Montale (1977), por David Levine
Fine del '68
Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,
ed io tra questi. E tutto è molto strano.
Tra poche ore sarà notte e l’anno
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o peggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano.
En el silencio
Hoy hay huelga general.
No pasa nadiempor la calle.
Sólo una radio portátil al otro lado de la pared.
Alguien debe vivir allí desde hace algunos días.
Me pregunto qué pasará con la producción.
La misma primavera tarda bastante en producirse.
Anticipadamente, han apagado la calefacción.
Se han dado cuenta de que es inútil el servicio postal.
No es un gran mal el retraso de las funciones normales.
Es fatal que algún engranaje no engrane.
Hasta los muertos están agitados.
También ellos forman parte del silencio total.
Tú estás bajo una lápida. De nada vale despertarte
pues siempre estás despierta. Incluso hoy, que hay sueño
universal.
Eugenio Montale, Génova, 1896 - Milán, 1981
traducción de Horacio Armani
Nel silenzio
Oggi è sciopero generale.
Nella strada non passa nessuno.
Solo una radiolina dall’altra parte del muro.
Da qualche giorno deve abitarci qualcuno.
Mi chiedo che ne sarà della produzione.
La primavera tarda alquando a prodursi.
Hanno spento in anticipo il termosifone.
Si sono accorti ch’è inutile il servizio postale.
Non è un gran male il ritardo delle funzioni normali.
E’ d’obbligo che qualche ingranaggio non ingrani.
Anche i morti si son messi in agitazione.
Anch’essi fanno parte del silenzio totale.
Tu stai sotto una lapide. Risvegliarti non vale
perché sei sempre desta. Anche oggi ch’è sonno
universale.
viernes, 26 de noviembre de 2010
Giuseppe Ungaretti
Vigilia
Toda una noche
tirado junto
a un compañero
masacrado
con su boca
desencajada
vuelta al plenilunio
con la congestión
de sus manos
metida
en mi silencio
escribí cartas
llenas de amor
Jamás estuve
tan
apegado a la vida
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de L’Allegria
Versión © Gerardo Gambolini
imagen: Giuseppe Ungaretti
Veglia
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
San Martino del Carso
De estas casas
no ha quedado
más que algún
pedazo de muro
De tantos
que me querían
no quedó
siquiera eso
Pero en el corazón
no falta ninguna cruz
Mi corazón
es el lugar más devastado
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de L’Allegria
Versión © Gerardo Gambolini
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese piú straziato
No griten más
Dejen de matar a los muertos
no griten más, no griten
si todavía los quieren oír,
si esperan no morir.
Tienen el susurro imperceptible,
no hacen más ruido
que el crecer de la hierba,
feliz donde no pasa el hombre.
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de Il Dolore
Versión © Gerardo Gambolini
Non gridate più
Cessate di uccidere i morti
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.
Poesía
Los días y las noches
suenan
en estos mis nervios de arpa
Vivo
de esta alegría enferma
de universo
y sufro
por no saber encenderla
en mis palabras
Giuseppe Ungaretti, Alejandría, Egipto, 1888 – Milán, Italia, 1970
de Poesie disperse
Versión © Gerardo Gambolini
Poesia
I Giorni e le Notti
suonano
in questi miei nervi d’arpa
Vivo
di questa gioia malata
d'universo
e soffro
per non saperla accendere
nelle mie parole
viernes, 13 de agosto de 2010
Cesare Pavese
Mañana
La ventana entornada contiene un rostro
sobre el campo del mar. Los vagos cabellos
acompañan el tierno ritmo del mar.
Los recuerdos no existen sobre este rostro.
Sólo una sombra que huye, como de nube.
La sombra es húmeda y dulce como la arena
de una cavidad intacta, bajo el crepúsculo.
No hay recuerdos. Solamente un susurro
que es la voz del mar hecha recuerdo.
En el ocaso el agua débil del alba
que se embebe de luz aclara el rostro.
Cada día es un milagro sin tiempo
bajo el sol: una luz salobre lo impregna
y un sabor de fruto marino vivo.
No existen recuerdos sobre este rostro.
No existe una palabra que lo contenga
o lo una a las cosas pasadas. Ayer
se esfumó de la breve ventana como
se desvanecerá dentro de poco, sin tristeza
ni palabras humanas sobre el campo del mar.
Cesare Pavese, Italia, 1908-1950
traducción de Horacio Armani
imagen: s/d
Mattino
La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba
che s’imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l’impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.
Nocturno
La colina es nocturna en el cielo claro.
Allí se enmarca tu cabeza, que mueve apenas
y acompaña ese cielo. Eres como una nube
entrevista entre ramas. En los ojos te ríe
la extrañeza de un cielo que no es el tuyo.
La colina de tierra y de hojas encierra
con su masa negra tu vivo mirar;
tu boca tiene el pliegue de una dulce hondonada
entre costas lejanas. Pareces jugar
bajo la gran colina y el claror del cielo:
para agradarme repites el paisaje antiguo
y lo vuelves más puro.
Pero vives en otra parte.
Tu tierna sangre se hizo en otra parte.
Las palabras que dices no se avienen
con la ápera tristeza de este cielo.
No eres más que una nube dulcísima, blanca,
enredada una noche entre ramas antiguas.
Cesare Pavese, Italia, 1908-1950
traducción de Horacio Armani
Notturno
La collina è notturna, nel cielo chiaro.
Vi s'inquadra il tuo capo, che muove appena
e accompagna quel cielo. Sei come una nube
intravista fra i rami. Ti ride negli occhi
la stranezza di un cielo che non è il tuo.
La collina di terra e di foglie chiude
con la massa nera il tuo vivo guardare,
la tua bocca ha la piega di un dolce incavo
tra le coste lontane. Sembri giocare
alla grande collina e al chiarore del cielo:
per piacermi ripeti lo sfondo antico
e lo rendi più puro.
Ma vivi altrove.
Il tuo tenero sangue si è fatto altrove.
Le parole che dici non hanno riscontro
con la scabra tristezza di questo cielo.
Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
impigliata una notte fra i rami antichi.
miércoles, 17 de marzo de 2010
Salvatore Quasimodo
En las frondas de los sauces
¿Y cómo podíamos cantar
con el pie extranjero sobre el corazón,
entre los muertos abandonados en las plazas
sobre la hierba dura de hielo, ante el lamento
de cordero de los niños, ante el alarido negro
de la madre que iba hacia su hijo
crucificado en el poste del telégrafo?
En las frondas de los sauces, como ex votos,
también nuestras liras estaban colgadas,
oscilaban leves bajo el triste viento.
Salvatore Quasimodo, Italia, 1901-1968
traducción de Carlos Vitale
Basta un día para equilibrar el mundo
La inteligencia la muerte el sueño
niegan la esperanza. En esta noche
en Brasov, en los Cárpatos, entre árboles
no míos, busco en el tiempo
a una mujer de amor. El bochorno quiebra
las hojas de los álamos y yo
me digo palabras que no conozco,
derramo tierras de memoria.
Un jazz oscuro, canciones italianas
pasan volcadas sobre el color de los iris.
En el crujido de las fuentes
se ha perdido tu voz:
basta un día para equilibrar el mundo.
Salvatore Quasimodo, Italia, 1901-1968
traducción de Teódulo López Meléndez
Basta un giorno a equilibrare il mondo
L’intelligenza la morte il sogno
negano la speranza. In questa notte
a Brasov nei Carpazi, fra alberi
non miei cerco nel tempo
una donna d’amore. L’afa spacca
le foglie dei pioppi
ed iomi dico parole che non conosco,
rovescio terre di memoria.
Un jazz buio, canzoni italiane
passano capovolte sul colore degli iris.
Nello scroscio delle fontane
s’è perduta la tua voce:
basta un giorno a equilibrare il mondo.
Las muertas guitarras
Mi tierra está sobre los ríos junto al mar,
ningún lugar tiene una voz tan lenta,
donde mis pies se deslicen
entre los juncos llenos de caracoles.
En verdad es otoño: en el viento, en jirones,
las muertas guitarras levantan sus cuerdas
sobre la negra boca y una mano sacude
esos dedos de fuego.
En el espejo de la luna
se peinan muchachas con pechos de naranjas.
¿Quién llora? ¿Quién azota los caballos en el aire
rojo? Nos detendremos en esta orilla
junto a la hilera de plantas y tú, amor,
no me lleves ante ese espejo
infinito: en él se miran muchachos
que cantan y altísimos árboles y aguas.
¿Quién llora? Yo no, créeme: sobre los ríos
corren exasperados chasquidos de una fusta,
los caballos sombríos, los relámpagos de azufre.
Yo no, mi raza tiene cuchillos
que arden y heridas que queman.
Salvatore Quasimodo, Italia, 1901-1968
traducción de Gianni Siccardi
Le morte chitarre
La mia terra è sui fiumi stretta al mare,
non altro luogo ha voce cosí lenta
dove i miei piedi vagan
otra giunchi pesante di lumache.
Certo è autunno: nel vento a branile
morte chitarre sollevano le corde
su la bocca nera e una mano agita
le ditadi fuoco.
nello specchio della luna
si pettinano fanciulle col petto d’arance.
Chi piange ? Chi frusta i cavalli nell’aria
rossa ? Ci fermeremo a questa riva
lungo le catene d’erba e tu amore
non portarmi davanti a quello specchio
infinito: vi si guardano dentro ragazzi
che cantano e alberi altissimi e acque.
Chi piange? Io no, credimi: sui fiumi
corrono esasperati schiocchi d’una frusta,
i cavalli cupi i lampi di zolfo.
Io no, la mia razza ha coltelli
che ardono e lune e ferite che bruciano.
miércoles, 17 de febrero de 2010
Eugenio Montale / 2 poemas
La casa de los aduaneros
Tú no recuerdas la casa de los aduaneros
sobre la elevación inclinada sobre la escollera:
desolada te espera desde la noche en que
entró en ella el enjambre de tus pensamientos
y se detuvo inquieto.
La marejada azota hace años la vieja muralla
y el sonido de tu risa ya no es alegre:
la brújula gira loca a la ventura
y el cálculo de los dados no regresa.
Tú no recuerdas; otro tiempo trastorna
tu memoria; un hilo se devana.
Tengo todavía la punta; pero se aleja
la casa y sobre el techo la ennegrecida
veleta gira sin piedad.
Tengo la punta; pero tú estás sola
casi ni respiras en la oscuridad.
Oh el horizonte en fuga donde se enciende
rara la luz del petrolero.
¿Es este el paso? (Pulula todavía el oleaje
sobre el acantilado que se desploma).
Tú no recuerdas la casa de esta
noche mía. Y yo no sé quién va y quién queda.
Eugenio Montale, Génova, 1896 - Milán, 1981
traducción de Jorge Aulicino
imagen: Paul Gauguin, Acantilado cerca de Dieppe
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entró lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostó irrequieto.
la bussola va impazzita all’avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
affumicata gira senza pietá.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’ oscuritá.
Il varco é qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende …).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
Poco hilo me queda, pero espero hallar el modo
de dedicarle al próximo tirano
mis pobres cármenes. No medirá que me corte las venas
como Nerón a Lucano. Querrá una loa espontánea
que brote de un corazón agradecido
y la tendrá en abundancia. Asimismo podré
dejar huella perdurable. En poesía
lo que cuenta no es el contenido
sino la Forma.
Eugenio Montale, Génova, 1896 - Milán, 1981
traducción de Guillermo Fernández (?) en Poesía moderna, 165,
Eugenio Montale, UNAM, 1991.
i miei poveri carmi. Non mi dirà di svenarmi
come Nerone a Lucano. Vorrà una lode spontanea
scatutita da un cuore riconoscente
e ne avrà ad abbondanza. Potrò egualmente
lasciare orma durevole. In poesia
quello que conta non è il contenuto
ma la Forma.
viernes, 12 de febrero de 2010
Salvatore Quasimodo
La noche de invierno
Y otra vez la noche de invierno
y la torre de la aldea sombría con sus ruidos,
y las nieblas que sumergen el río,
y los helechos, las espinas. Oh, compañero,
has perdido el corazón: la llanura
ya no tiene espacio para nosotros.
Aquí, en silencio, lloras a tu tierra:
y muerdes el pañuelo de color
con tus dientes de lobo:
no despiertes al niño que duerme a tu lado
con los pies desnudos metidos en un pozo.
Que nadie nos recuerde a nuestra madre,
que nadie nos cuente el sueño del hogar.
Salvatore Quasimodo, Italia, 1901-1968
traducción de Gianni Siccardi
imagen: fresco, Villa Boscotrecase, Pompeya
La notte d’inverno
E ancora la notte d’inverno,
e la torre del borgo cupa con suoi tonfi,
e le nebbie che affondano il fiume,
e le felci e le spine. O compagno,
hai perduto il tuo cuore: la pianura
non ha piu spazio per noi.
Qui in silenzio piangi la tua terra:
e mordi il fazzoletto di colore
con i denti di lupo:
non svegliare il fanciullo che ti dorme accanto
coi piedi nudi chiusi in una buca.
Nessuno ci ricordi della madre, nessuno
ci racconti un sogno della casa.
Al padre
Sobre las aguas violáceas
donde estaba Mesina, tú caminas
entre caboles cortados y escombros
junto a vías y cambios
con tu gorra ferroviaria.
El terremoto está en ebullición
desde hace días, es diciembre de huracanes
y mar envenenado. Nuestras noches caen
en los vagones de carga y nosotros, ganado infantil,
contamos sueños polvorientos con los muertos
traspasados por los hierros, mordiendo
almendras y manzanas secas. La ciencia
del dolor puso verdad y hojas de cuchillos
en los juegos de las llanuras de malaria.
y fiebres hinchadas por el fango.
Tu paciencia
triste, delicada, nos quitó el temor,
fue lección de días unidos a la
muerte traicionada, al desprecio de los ladrones
apresados entre la chatarra y ajusticiados en la oscuridad
por las descargas de la descarga, cuenta
de números bajos que retornaba exacto,
concéntrico, un balance de la vida del futuro.
Tu gorra de sol iba por aquí y por allá
en el poco espacio que siempre te otorgaron.
A mí también me han limitado
y he llevado tu nombre
un poco más allá del odio y de la envidia.
Qué roja sobre tu cabeza era una mitra,
una corona con las alas de un águila.
Y ahora en el águila de tus noventa años
he querido hablar contigo, con tus señales
de partida simuladas por la linterna
nocturna, y aquí desde una rueda
imperfecta del mundo,
sobre un montón de muros cerrados,
lejos de los jazmines de Arabia
donde estás aún, para decirte
lo que antes no podía — difícil afinidad
de pensamientos — para decirte (y no nos escuchan
solamente los ágaves, los charlatanes del empalme)
como dice el campesino a su patrón:
“Baciumu li mani”. Esto, nada más.
Oscuramente fuerte es la vida.
Salvatore Quasimodo, Italia, 1901-1968
traducción de Gianni Siccardi
Al padre
Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.
Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
"Baciamu li mani". Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.